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A partire dalla seconda metà del Duecento, sulle mura dei più importanti edifici pubblici delle città italiane di tradizione comunale cominciarono ad apparire sorprendenti immagini di persone portate al rogo, impiccate, capovolte, in pose grottesche e offensive. Erano l'espressione di una nuova pratica penale in via di consolidamento e destinata a sopravvivere fino al secolo XVI ed oltre: la pittura infamante. Con essa i depositari del potere pubblico punivano, con tutti i crismi dell'ufficialità, i colpevoli di determinati delitti, seguendo una via consona alla mentalità del tempo. In questo libro - un vero classico di storia medievale, di nuovo disponibile in una edizione aggiornata e ampliata - l'autore esamina la pittura infamante nei suoi più diversi aspetti: dove e quando nacque e si sviluppò, che efficacia ebbe nel giudizio dei contemporanei, quali fini si propose, quali situazioni le furono più congeniali, fino a spiegarne la genesi in riferimento alla particolare evoluzione della società dei comuni, tra guelfismo e ghibellinismo, tra "grandi" e "popolo".